sabato 10 ottobre 2009

luglio 2009, “Denied Entry”

Ho un biglietto per l'autobus che parte dal Cairo delle 6,30, e dovrebbe arrivare a Taba, l’ultima citta' egiziana prima del confine israeliano, in circa 6 ore. L'autobus e' in ritardo di circa un'ora e mezza, e il traffico e' sempre piu' caotico.
Arrivo comunque al confine verso le 14.
Cerco di mandare un messaggio col mio cellulare italiano per dire al mio amico in Italia che sto per passare la frontiera, ma non c'e' copertura. Aspetto, provo a spostarmi, ma non c'e' niente da fare. Aspetto ancora, preparo il messaggio, riprovo, ancora niente. Mi metto in fila per i controlli in uscita dal territorio egiziano, e riprovo di tanto in tanto, ma non c'e' niente da fare. Mi rassegno, non posso attendere oltre.
Lascio la frontiera egiziana e presento il passaporto al primo controllo israeliano. Ok, passo. Fila. Attesa per presentarsi agli sportelli. Arriva il mio turno. Inizia con le solite domande - se viaggio da sola, se trasporto armi, dove voglio andare, se conosco qualcuno in Israele. Poi domande nuove: il nome di mia madre e quello di mia nonna... si avvicina quello che credo essere un poliziotto in borghese: un ragazzo alto e robusto, che mi dice di aspettare e mi indica una sedia. Aspetto. A questo punto pero' voglio comunicare, ma sono sempre senza copertura sul il mio celulare italiano. Mi viene in mente di inserire la sim Orange, quella israeliana, e sorprendentemente funziona! Certo e' possibile che intercettino il mio msg, ma e' soltanto un vago "sono al confine, sto aspettando di passare, mi hanno fatto sedere" so che lui capira'. Mi metto a leggere un libro. Il mio amico mi chiama e gli spiego la situazione. Aspetto. Mentalmente, mi preparo per un interrogatorio. Certo non sono nella condizioni migliori: sono circa le 14,30 e non ho mangiato niente da stamattina, e bevuto pochissimo. Fa molto caldo fuori, la mia camicia ha la cerniera di metallo – scottava mentre percorrevo a piedi la strada verso il confine (che idea infelice aver usato quella camicia!) ma qui c'e' l'aria condizionata. Passano turisti in calzoncini e maglietta, si intravedono i costumi da bagno - questo e' certo un punto di passaggio tra due zone turistiche, non riconosco immigrati tra quelli in fila insieme a me.
Cosa mi chiederanno? Potro' bere prima che mi interroghino? Sono sfinita. Questo viaggio e' sempre molto faticoso. Leggo un libro di meditazione, cerco di mantenere la calma, probabilmente mi stanno osservando con qualche telecamera, ma non voglio girare lo sguardo intorno per cercarla, preferisco lavorare su me stessa e respirare, rilassare. Passano ragazze in uniforme, e ogni volta che vengono verso di me penso che sia arrivato il momento. Invece nessuno mi considera e continua questo viavai di gente in divisa, ragazzi con le radio, uomini in borghese. Altri turisti passano il confine.
Non attendo molto: dopo circa mezz'ora arriva una donna in divisa (ma con la gonna, per questo mi stupisce – sono abituata a vedere uomini e donne vestiti nello stesso modo); ha il mio passaporto in mano e mi dice che non potro' entrare. Mentre parla si avvia verso il confine egiziano, mi invita a seguirla. Le chiedo perche', mi dice “Lo sai perché'. Cerco di essere gentile ma insisto, le dico che no, non lo so, se puo' dirmelo. Ribadisce la sua affermazione e intanto ci troviamo davanti all'ultima porta che si apre sul lato egiziano del confine. Mi passano tanti pensieri per la testa, ma avevo gia' deciso che se tutto questo fosse successo, cioe' se mi avvessero negato il visto, sarei semplicemnte tornata dall'altra parte, e cosi' faccio, anche se nella mia testa ci sono mille interrogativi. Sono confusa. Come reagiranno gli egiziani?! La successiva preoccupazione e' che mi vogliano anche fuori dal loro paese, ma fortunatamente ho il visto multientry e spero che mi lascino passare senza problemi. Sono molto stanca. Penso alle persone che mi stanno aspettando, penso al progetto che abbiamo messo anssieme con tanto impegno, all’amica scozzese che mi ha aiutato per la traduzione, a ciò che avrebbe potuto essere... ma no, devo cercare di essere presente nella situazione attuale. Ma non riesco a non chiedermi se mai verrà il giorno in cui saranno i palestinesi a decidere chi puo' entrare o meno nei loro confini.
L'Egitto e' un paese strano. La gente sta con i palestinesi ma il governo sta con gli israeliani. Sul mio passaporto, il timbro "denied entry" si trova proprio nella pagina a fianco a quella col visto egiziano. "Ma non potevano metterlo su un'altra pagina?!" ma in fondo non avrebbe fatto nessuna differenza. I soldati egiziani sono strani: un misto di sorpresa, curiosita' e - credo di intravedere – solidarietaà (ma forse mi sbaglio…). Cosa avra' mai fatto questa turista, di solito sono loro ad avere dei problemi - gli egiziani non possono andare in Israele, se non per ragioni particolari - almeno questo e' quello che mi dicono le persone che ho conosciuto. Non solo, mi dicono che c'e' molto controllo e che addirittura avere a che fare con persone che vanno in Israele, ricevere telefonate da numeri israeliani, puo' causare loro dei problemi.
Sono di nuovo fuori, il sole è molto forte; ricordo di aver pensato, mentre arrivavo al confine “mangerò qualcosa dopo avere passato la frontiera”, e di aver immaginato nella mia mente il mare, proprio all’uscita di quell’ultima porta, il mare di Eilat. Volevo concentrarmi…
Sono le… che ore sono?! Forse riesco a tornare al Cairo. Apro la porta di un ennesimo strano posto di confine: sono tornata alla frontiera egiziana, nello stesso palazzo di prima ma dalla parte opposta. Non so bene dove andare, spingo la porta, mi guardo attorno, e un tizio con una strana uniforme bianca mi chiede se voglio andare in un albergo, come si chiama… uno di quelli costosi. Penso di aver sbagliato entrata, sono fusa fino a questo punto?! Ma l’entrata è quella giusta, forse stanno solo cercando di “catturare” qualche turista sprovveduto. Mi guardano, sono scortesi, ma infine mi indicano una porta di fianco. Passo tutto quello che ho sotto il metal detector; all’altro sportello per fortuna non c’è coda, penso che passerò in fretta ma mi sbaglio. Mi dicono di aspettare, non capisco perché, mi siedo, sono sfinita. Passano altri turisti, ora mi addormento qui… arriva uno in divisa, mi chiede cosa faccio, “sto aspettando”, gli dico. “Aspettando cosa?!” – chiedo “Posso passare?” “Certo”, mi affretto (si fa per dire), guardano e rigurdano il mio passaporto, mi fanno uscire finalmente. Percorro la strada a ritroso, mi trovo alla fermata dell’autobus. C’è quello per il Cairo alle 16,30, faccio in tempo. Ci sono pochi negozi e un bar, mi hanno visto poco prima avviarmi verso il confine (c’ero solo io, non è un posto molto affollato…), mi chiedono cosa sia successo, mi viene da ridere, la situazione è comica, sembra di essere in un film. Ho fame, ho sete, ma c’è poco tempo, l’autobus è in arrivo. Faccio il biglietto, qualche telefonata, devo assicurarmi di poter tornare al Cairo. Il programma era diverso… “Se mi negano l’ingresso vado al mare a Dahab”, avevo detto, ma in questo momento è l’ultima cosa che vorrei fare. Ho bisogno di comunicare a tutti cos’è successo, devo avvertire quelli che mi aspettano…
Mi siedo sul pullman e credo che mi addormento… il viaggio è lungo, arrivo al Cairo che è buio, in una stazione che non conosco, non so assolutamente dove mi trovo. Anche questo programma è saltato, pensavo di riprendere la metropolitana per tornare a casa del mio amico, e invece qui non c’è niente e io sono troppo stanca per qualunque cosa. Ho ancora la forza di contrattare per il taxi e di incamminarmi verso l’uscita minacciando di cercarne uno di quelli che passano per strada. Il Cairo non è una città pericolosa, mi sento tranquilla. Qualche tassista mi segue e abbassa il prezzo, ok mi siedo su un sedile sfondato, spero che davvero non sia lontano…

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